Terzo Premio Il grande, il piccolo, la vecchina e il pane
E’ la storia di un improvviso incontro tra una madre ed una vecchina, sconosciute una all’altra ma che rivela una particolare ‘vicinanza’, come una forte attrazione psicologica ed umana per effetto di un velo di mistero che sembra accomunarle. Una dimensione irreale ma capace di lasciare una profonda traccia nei sentimenti. Una scrittura attenta a non smarrire il filo narrativo: si vi coglie un acuto spirito di osservazione dei dettagli, luoghi ed oggetti con buona vena creativa.
Più in generale, è la storia di una solitudine ritrovata, inconscia, tra due donne in tonalità che sfiora il misterioso, l’arcano o semplicemente il ‘desiderabile’. Come una remota richiesta di luce, di speranza, di qualcosa che potrà o dovrà forse accadere. La quotidianità racconta della vita e questa propone un incontro tra una giovane madre – che tribola con i suoi due maschietti, uno ipercinetico l’altro dormiente – con una vecchina che può essere vista come una fatina del tempo, desiderosa di gustare del pane caldo fatto con le mani della sconosciuta. Il pane viene sfornato ed offerto alla vecchina e questa vuole “mangiarlo” non con la propria bocca ma con quella della giovane madre, carezzandone dolcemente le labbra. E’ un desiderio che viene subito onorato: la giovane madre assaggia ad occhi chiusi il pane fatto con le sue stesse mani e ne sente tutta la fragranza e la bontà.
Ma nel riaprire gli occhi la vecchina non c’è più. Lo specchio si è spezzato o lo si ritroverà intatto in un’altra vita, in un’altra dimensione? Il racconto non lo rivela ma forse sta qui la sua essenza, il suo valore.
La Frase “Un pettirosso, ogni mattina, si posa sulla ringhiera del balcone, pare osservarmi, piega la testa da un lato, saltella un po’ e poi vola via”.
Secondo Premio La nave di Teseo
La Giuria ha inteso premiare un racconto che racconto non è, più connotato come ironico testo teatrale, pungente quanto basta per toccare i fili del paradosso e della beffa. I dialoghi, strampalati (in quanto spontanei) sono vivaci, a tratti brillanti e non spengono l’attenzione. Un fiume di parole, toccata e fuga, giocano con se stesse, in buona intuizione linguistica con trovate insolite che strapperebbero l’applauso. Tutto è giocato sulla velocità di battute in libertà che sfiorano il grottesco, mascherato da un sentimentalismo taciuto. La scrittura è limpidamente sfaccettata, a tratti dirompente. Si manifesta un refrain che muta di gioco e di segno partendo da una sentenza: “La morte è per i morti, la vita è per i vivi”. E prosegue così: “Perché la vita fugge anche se non la si insegue”… “Perché la giovinezza fugge anche se non la si insegue”… “Perché il tempo fugge anche se non lo si insegue”.
Storia di tre amiche della terza età che, con humour e complicità, se le danno di santa ragione in forza di una dialettica pungente e scarnificante. Nulla hanno più da perdere ed allora fantasticano e progettano l’irreale che, investendone una contagia le altre e viceversa. Il racconto di vita è incentrato sul paradossale, sull’ironia, sulle situazioni presenti. Vivono come su un palcoscenico dove ciascuno ha il suo ruolo: ma c’è un elemento in comune: la morte, che vogliono in qualche modo domare e dominare a proprio vantaggio. E’ stata scelta la forma dialogica – sicuramente eccessiva – felice spunto narrativo ma è il suo limite. Spiccano buoni accenti creativi che nascondono la drammaticità della vita (rifiutata a priori) e l’ineluttabilità della morte. Ciascuna si sente figlia della nave Teseo, che via via si lacera fino a diventare ‘altro’ di sé.
La Frase “Perché chi vuol fuggire fugge, anche se lo si insegue”.
Primo Premio La fiamma dell’infinito
Racconto narrato in prima persona: Giordano Bruno – l’alfiere del libero pensiero messo al rogo dall’Inquisizione – parla di sé, della sua vita errabonda, dei suoi tormenti, dei suoi incontri, della sua libertà di coscienza. Il testo, che la Giuria, all’unanimità, ha identificato come vincitore del Premio, è accuratamente impostato per il contenuto di alto profilo, per la forma, le idee, il sapiente uso del linguaggio e punteggiatura; è dominato e doma il sacro fuoco della parola. E rivela, con spirito critico e puntiglio, la verità etica di Giordano, deluso dalla mediocritas umana. Esalta infine il sublime di un credo universale, le cui ‘fiamme’ – metafora del bene supremo – condannano lo strapotere di una chiesa rigida e oppressiva dentro la quale i papi di quel tempo si adornano di ori e di gemme a loro gloria, lasciando fuori dal sagrato il ‘senso’ vero e intimo della religio di fronte all’unico Dio da amare.
Il testo monotematico, in verità poco ‘narrato’, esprime dottrina morale e sagaci riflessioni teo-filosofiche con parole eloquenti e severa qualità della prosa. C’è struttura di racconto e ‘immedesimazione’ dell’io narrante riflesso. La linea narrativa si snoda con brillantezza, forte di un pensiero privo di ridondanze e stereotipi.
Si evince uno sguardo sul mondo e il significato profondo della vita, non l’esistenza esclusivamente terrena, ma una vita – quella di Giordano Bruno – che s’apre alla luce e alla speranza con quel senso di “sé stesso” che riflette l’armoniosa aspirazione del Dio che è in noi.
Quel pertinace personaggio della storia, odiato più che amato, non rinnegherà mai le proprie idee, seppure cosciente che la sua ostinazione l’avrebbe condotto al rogo.
Due Sole Frasi:
“Non può certo sostenersi che le antiche opinioni fossero false quando erano nuove, e invecchiando divennero vere”.
“Il mio corpo fu distrutto col fuoco da chi era convinto di anticipare le fiamme dell’inferno, mentre non rifletteva che la fiamma dell’infinito”.
Complimenti, signora Alexandra Mc Millan!
Menzioni Speciali
Sarebbero dovute essere tante le menzioni speciali vista la qualità dei racconti ma alla fine abbiamo scelto una ‘quaterna’ che qui proponiamo in ordine alfabetico:
Il Dono Di Giuditta
Una voce di speranza giunge da una lontana percezione che sfiora il trascendente: è l’affresco di una psiche che attende l’attimo rivelatore, come quello dei sogni, lo svelarsi di un evento che incombe, che indaga sulla vita in modo lirico e palpitante. E’ la forza di un’intuizione-bambina che vede senza toccare: una capacità innocente capace di aprire il varco dell’impossibile: anche il ritorno d’un figlio laggiù in guerra.
Nella storia biblica, Giuditta è l’eroina che per salvare Betulia dovette liberare la città dalla “bieca brutalità di Oloferne”, tagliandogli la gola. Ma nel racconto, qui Giuditta è una tenera bambina che, pur soffrendo di frequenti attacchi d’asma e di paure, ha una rivelazione da fare alla madre, non troppo tenera con lei. Sarà una rivelazione che dal sogno si appalesa in realtà. E il resto non sarà silenzio.
Il racconto è scritto con stimabile maestria ed eleganza, con buon passo ritmico, e senza toni di caduta. La spontaneità del narrare è matura, intensa, appropriata.
La Frase “Da qualche parte c’era un Dio che raccoglieva le loro suppliche e apriva le mani a consolare”.
Ode Al Cappuccino
Con la menzione di questo breve racconto – un prezioso concentrato di atmosfere e di immagini – si è voluto premiare l’originalità della storia e l’acutezza della scrittura. Tanti i frammenti espressivi in una colta esercitazione di stile. Dominio della parola, grandangolo della prosa poetica, tavolozza cromatica: una terna compiuta e godibilissima, che guarda allo scintillio di luci di Castore e Polluce. Sono parole-musica, musica-ritmo, e ritmo che ritorna alla sonorità in una armoniosa quadratura del cerchio. Non c’è storia, non personaggi, non luoghi riconoscibili, ma ci sono i coppieri degli dei e poi una lunga sfilata di oggetti: raffinati vassoi, troni di ceramica, cerchi di spuma, piccole perle, colonne tortili, fendenti di sole e cieli tenebrosi. E si cita perfino il Walhalla.
La Frase “Si tuffano sulla spuma un cumulo di piume, cadono come dobloni le une sulle altre, fanno una piramide d’oro (…) “E Marte che si raccoglie supino sul grembo di Venere”
Rimbalzi
Monologo pungente, ravvicinato, avvitato, sotto un cielo plumbeo. Un ‘legarsi a sé stesso’ che nuoce e rimanda, in acre pessimismo di esistenza. Un cerchio semichiuso che un bel giorno si apre creativamente facendo sì che l’io narrante, identificandosi con una natura inerte, diventi un sasso, quel sasso più volte lanciato a pelo d’acqua fino a sette rimbalzi, contro i dieci di un padre misconosciuto ma presente. Scrittura matura seppure ripetitiva e dove una certa erudizione priva il racconto di armonia e leggerezza. La solitudine gli fa incontrare un vecchio lanciatore di lassi che osserva e tace. E qui, l’io narrante scopre parallelismi, scopre l’inimmaginabile gioco della vita.
La Frase “Il rumore dell’acqua era il suono della mia mente (…) il mio riflesso nell’acqua era il mio fantasma: anche lui sarebbe scomparso con me”.
1° Premio Poesia
Ses Istada – Antonio Sannia – Bortigali
Su poete est trobojadu in sos cunsideros de sos tempos de s’amore, de sa lughe e de s’iscuru de sos annos partidos chen’isettu. De su siddadu chi gighiat in domo e in sa vida. De sos sentidos chi, cun ojos mudos, an sinzadu unu tempus de lugore e de bramosia. In caminos aundados che rios de lugura, chi parian cosas e prendas chena finitia. E s’abizat, atturdidu, chi sos ammentos de como che sun ruttos in trainos de ammentos perdidos.
3° Premio Poesia
Su Entu – Francesca Maria Edvige Pes – Monti/Alghero
Sentidos chi curren in s’andera de sas richesas e de sos terighinos de sa vida de unu bene, chi solu a daghi t’abizas chi t’est manchende, lu cussidèras cun ojos noos. E torran a pizu sos imparos e.i sos pinzos chi una mama at dadu a manos pienas a fizos e familia, in d’una vida garriga de lugore e de amore. Benes chi lean sa lughe de sa cuscescia e chi nos ammentan sa richesa chi a ticu ticu semus perdende in su ‘entu ‘e s’ispera.
1° Premio Prosa
Semus Tottu Piscadores – Mario Sebastiano Fiori – Tortoli’
S’attrivida de tres amigos chi, coment’ant fattu semper, si tuccan in mare a piscare cun d’unu barca chi nd’at bidu ‘e onzi manera, ma chena ponner mente a sos rìsigos chi nde poden naschere. E non si lassan cumbinchere mancu dai sos cunsizos de zente pius nòdida ‘e aggallada. Daghi sas cosas sun postas male meda, si disisperan e s’abizan chi sa vida no est de ch’imbolare in su zostre de s’irmentigu.
3° Premio Prosa
Pro Chi Torrent Sas Rosas De Maju
Rachel Falchi – Bangalore/Sassari
Prosa poetica chi ‘enit impitada cun lieresa e cun sabiesa in sas anderas de sa vida de deris e de oe, piena de isperos, colores e poesia de sos ammentos. Unu mundu chi a pagu a pagu s’est allorighende in cuzolos de iscurigore, chi s’irmentigat su connotu e che ruet in trainos chena lughe, aundados de solidade… No est fatzile nudda a caminare in sos terighinos de unu mundu chi at perdidu sos sentidos e.i su connotu e si che lampat in campuras chena doas!
Canu possu pisà lu bè ch t’agghju
Li prummissi di la ciuintura no sempri escini com’unu sill’immaghjinigghja; ancora candu li cosi disiciati so chissi chi,illa ‘ita dugnunu spéra; (comu sarìa cunniscì l’amori, aé una famiglia, adattò un trabaddhu bonu e onestu, fa illa ‘ita calch’e cosa di bonu); ma illi sonnii si poni pinsà li cosi com’e illi foli, illa rialitai invecci li culori chi parìani luccichenti so a ispissu stinti. Ma lu chi conta, illu scioaru di li passoni di vulé bè, no è l’aspettu difora, sinnò che la simpatia, la bona ‘ulintai, li boni sentimenti e l’amori sinceru. Lu chi, in una ‘ita longa, passata insembi a lu cumpagnu cun chissi alitai, no è mai mancatu…
Chistu mundu di rispettu, d’onori, di bona ‘ulintai, di sentimenti amurosi, so l’ereditai più manna chi si lassa a li fiddholi.
Una puisia piena di galbu, suai com’una musica, chi faci ‘idé comu bastani l’amori e lu rispettu pal fa un mundu incantatu com’e chiddhu chi si sunniaa da minori e da ciani.
Dici ch’erani dui frateddhi e dui sureddhi
Infanzia di due fratelli e due sorelle e loro adolescenza difficili per la povertà e per l’assenza dei genitori; normale condizione di vita negli stazzi e nei piccoli paesi pastorali di qualche decennio fa. Diventata giovane una delle sorelle riceve le attenzioni poco prudenti di un giovane sfaccendato, fratello del parroco presso il quale la giovane si trova a servizio. Il matrimonio riparatore s’impone con le maniere brusche di allora a salvare l’onore della famiglia. Nascono impedimenti alla giusta conclusione della vicenda e il motivo è inconfessabile. Tutto precipita verso un epilogo drammatico.
Quattro mani
Brioso e scorrevole. Lo scrittore in erba che lotta contro la pagina bianca e gli sviluppi sempre improbabili di un possibile racconto, tanto che si inoltra sui vari sentieri che la fantasia infantile suggerisce per poi non seguirne mai uno che porti a una meta. Nello sfogliare le possibili trame si insinuano le altrettanto possibili scelte di vita che si vorrebbero appaganti, ma che non portano ad una scelta. Tutto esposto con simpatica autoironia, quando una zanzara, col suo fastidioso ronzio distrae l’eroina del racconto portandola a divagare e rendendo impraticabili tutte le opzioni via via rappresentate, fino a stabilire le regole di comportamento per la stessa autrice e, mentre ronzano nella sua mente gli interrogativi fondamentali, giunge al sonno ristoratore della beata serenità infantile.